Dieci anni dopo l’invasione: gli USA hanno vinto la guerra in Iraq?

Le sentenze pronunciate dalla Storia tendono ad essere incerte, incomplete e reversibili. Il più delle volte anche condite con ironia, in modo particolare quando si tratta di guerra, dove ciò che appare come una vittoria scaturita dal campo di battaglia, col tempo spesso si rivela una sconfitta e viceversa.
La conseguenza di una vittoria non è la pace ma, spesso, è un preludio ad una guerra ancora più cruenta. Il prossimo anno ricorrerà il centenario del conflitto che una volta era conosciuto come la Grande Guerra. Una guerra che vide la Germania uscirne indubbiamente sconfitta. Ma affermare che Francia e Gran Bretagna l’abbiano vinta è un altro discorso. Oltre a piantare i semi per un bagno di sangue ancora più terribile, appena due decenni più tardi, la Grande Guerra servì principalmente per fornire ai politici britannici, con manie espansionistiche, un pretesto per la spartizione dell’impero ottomano. Ma ciò che Londra ha ottenuto da quel nuovo Medio Oriente fu risentimento e resistenza che a tempo debito ha lasciato in eredità a Washington. In effetti, la vittoria nel 1918 ampliò il dominio imperiale della Gran Bretagna ma solo per accelerarne la sua fine, lasciando venti anni più tardi agli Stati Uniti il manto imperiale di responsabilità globale.

Ogni pillola trionfale ha il proprio veleno. Esempi più recenti includono la Guerra dei Sei Giorni il cui esito ha gettato Israele in un periodo di terrore contro una grande, irrequieta minoranza che non può né pacificare né assimilare. La cacciata dell’Unione Sovietica dall’Afghanistan, che ha dato origine ai talebani, e l’Operazione Desert Storm, dopo il quale il presidio delle forze americane in Arabia Saudita ha aiutato ad accendere la miccia che sarebbe poi detonata l’11 settembre 2001.

Con il passare del tempo una guerra viene valutata non a seconda del suo risultato militare ma dalle conseguenze politiche che determina nel lungo periodo. Cinquanta anni fa, quando la guerra di Corea si concluse con un apparente situazione di stallo, la maggioranza degli americani ritenne ”l’azione di polizia” del Presidente USA Harry Truman un errore terribile. Oggi, con mezzo secolo di stabilità nell’Asia nordorientale, che ha permesso alla Repubblica di Corea di emergere come una democrazia prospera e un fedele alleato delle democrazie occidentali, possiamo affermare che quella azione fu una dei maggiori successi militari degli Stati Uniti degli ultimi decenni.

Una sfida per gli storici della guerra in Iraq, iniziata 10 anni fa, sarà quello di valutare se effettivamente sono stati raggiunti gli obiettivi che l’Amministrazione Bush jr cercava di realizzare. Le giustificazioni offerte per l’invasione erano molteplici: dalla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq a presunte voci di intesa tra Saddam Hussein e al-Qaeda fino alla estatica missione statunitense di esportare la democrazia in tutto il mondo arabo. Da come poi la guerra si è trascinata, le aspettative di trasformare il Medio Oriente sono state in qualche modo riconvertite in altre modeste definizioni di successo.

In quella che è diventata una delle storie più epocali del 21° secolo, gli abitanti del mondo islamico stanno affermando la prerogativa di determinare il proprio destino, sempre più intolleranti nei confronti  di interferenze straniere. In Iraq e in Afghanistan, Washington ha cercato di rinnovare una prerogativa del tutto diversa, introdotta da Gran Bretagna: il diritto di immischiarsi.
Per ribadire questo diritto dopo l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti cercarono di dimostrare la loro capacità di imporre la propria volontà ai suoi avversari designati. Ma la Storia ci suggerisce che il processo di autodeterminazione dei musulmani è destinato a proseguire senza ostacoli, sia che Washington approvi o meno.

Già nel 1947, la promulgazione della Dottrina Truman diede il via allo sforzo di Washington di mettere la sua impronta sul Grande Medio Oriente, affermando che l’uscita della Gran Bretagna dalla regione era cominciata. Il potere degli Stati Uniti stava iniziando a dirigere gli eventi in direzioni favorevoli ai loro interessi. Gli USA si trovano oggi più o meno dove gli inglesi erano negli anni 1920 e 1930. Hanno fatto il passo più lungo della gamba. L’unico problema è che non c’è oggi una potenza politica prontamente disponibile alla quale possano consegnare il pasticcio che sono riusciti a creare.

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